Guerra! Chi ci guadagna?

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Chi se lo immaginava (a parte forse l’Intelligence francese) che il weekend avrebbe prodotto 129 morti e 352 feriti per un’azione terroristica.

Di chiacchiere ed articoli sulle cause e sulle responsabilità degli attacchi kamikaze a Parigi ne abbiamo letti tanti. Oggi invece vorrei provare ad immaginare quali saranno le possibili conseguenze.

Inutile nascondere che siamo in guerra. Non quelle di trincea, come il 15-18.

Guerre di capitali, accordi politici e commerciali, prezzi di oro e petrolio come protagonisti, azioni spinte al rialzo dalle commesse militari.

L’attentato che ha colpito Parigi ci porta a valutare le potenziali conseguenze sui mercati azionari.

Guardando alla storia, analizzando gli andamenti dei mercati subito prima e dopo lo scoppio di una guerra possiamo tracciare delle linee guida indicative.

Da sempre un fattore che condiziona le Borse mondiali è il terrore, che innesca una reazione nel breve periodo (da poche ore a pochi giorni) chiamata panic selling.

Cos’è il panic selling? Per la paura conseguente all’incertezza degli eventi, correlata agli attacchi militari, gli investitori tendono nell’immediato a vendere tutti i titoli in portafoglio ed acquistare i safe haven, cioè i beni rifugio.

Quali sono i safe haven? Oro e Dollaro USA, rappresentano beni che ci danno maggiore tranquillità, cioè la sensazione che i nostri risparmi investiti in queste due categorie, non subiscano ingenti perdite dovute alle oscillazioni dei mercati.

Quando le tensioni geopolitiche si fanno sentire, sui mercati c’è un aumento di oscillazione dei prezzi, che prende il nome di volatilità, quindi gli investitori preferiscono aspettare gli eventi e stare fuori dai mercati.

I settori più colpiti dall’aumento di volatilità sono le compagnie aeree, il turismo e le assicurazioni.

I settori meno colpiti, che reggono di più, sono quelli anticiclici: farmaceutici, media, petroliferi e telecomunicazioni.

Sia chiaro che un atto terroristico ha impatto solo sul breve termine, già nel medio periodo non ne sentiamo più gli effetti.

Se da una parte è vero che le guerre portano ai civili morte, distruzione e miseria, è pur vero che innescano un ciclo economico positivo, e chi è in grado di sfruttarlo, può trarne grandi benefici.

I mercati tendono quindi a reagire in modo negativo solo all’avvio di una guerra, recuperando invece prezzi e quotazioni, una volta che la guerra è iniziata. Perché?

Quello che più temono i mercati è l’incertezza. Una volta che la guerra è scoppiata, che le azioni e le coalizioni sono chiare, il mercato paradossalmente di tranquillizza e comincia a prendere posizione.

Questo è il caso della Seconda Guerra mondiale e della Guerra nel Vietnam.

Più paesi saranno coinvolti, più vittime ci saranno, maggiore sarà l’impatto, positivo e negativo, sui mercati.

Nodo fondamentale è il mercato delle materie prime. I mercati borsistici che dipendono dalle forniture straniere di materie prime o di fonti di energia possono essere colpiti maggiormente da conflitti localizzati nei paesi esportatori di questi beni. La guerra attuale infatti sta interessando i maggiori produttori di petrolio e gas naturali.

E il petrolio? Tutti i dati sono a favore di un ulteriore calo nel prezzo del petrolio. I consumi sono bassi e le riserve sono sature. Il crollo dell’eccesso di domanda porta a pensare ad una repentina discesa del prezzo.

Le tensioni geopolitiche portano ad un’accelerazione del calo degli indici di Borsa, che raggiungono più velocemente i prezzi più bassi possibili… favorendo però da lì la ripartita e la successiva crescita economica.

Elisabetta Massa

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