“Quando l’Is mi arresterà e decapiterà, avrò perso la testa ma mi sarà rimasta la dignità : perché non avrò vissuto subendo umiliazioni”.
Ormai sono passati cinque giorni da quando Ruqia Hassan è morta ufficiamente.
Ruqia era ragazza come me, a cui piaceva dire le cose come stavano. Su un blog. Come questo. Peccato che quello che per me è scontato, come la libertà di dire ciò che mi passa per la testa, per lei non lo era. Certe libertà te le devi conquistare e non è detto che questa conquista sia indolore.
Ruqia era laureata in filosofia, blogger e giornalista siriana con la voglia di dire al mondo quello che la censura prova a nascondere. Il dolore e la rabbia di chi resta in Siria, che non si arrende al terrore e prova a cambiare le cose senza scappare. Anche se inevitabilmente lo sa, che rischia la pelle.
Ruqia tutti i giorni cercava di divulgare notizie vere sul conflitto che in televisione fa migliaia di morti anonimi. Eppure queste persone un nome ce l’hanno. Lo faceva utilizzando i social con lo pseudonimo di Nissan Ibrahim.
Ruqia raccontava della non-vita a Raqqa, pronta a denunciare gli effetti collaterali della propaganda jihadista. Raccontava il terrore di svegliarsi con la paura di essere scoperti, violentati, torturati, ma anche bombardati dagli aerei dei “buoni” che inevitabilmente fanno di tutta l’erba un fascio. Ironizzava sul Grande Fratello imposto dal regime, dell’informazione controllata, fatta solo di selfie dei combattenti in kalashnikov. “Avanti, tagliateci Internet, i nostri piccioni viaggiatori non se ne lamenteranno “. Commentava lei.
Ruqia. Uccisa con l’accusa di spionaggio per non essersi arresa.
E oggi tutti, giustamente, indignati per le molestie a Colonia alle donne occidentali, ma la dignità di una donna non ha lo stesso valore in tutto il mondo? Perché non vi indignate per una morte ingiusta? Vale forse di meno la sua morte?
Elisabetta Massa